Song across the univers part.2

 🟠 Giove – “Drops of Jupiter (Tell Me)” (Train)

Davanti a me si erge il colosso del sistema solare: Giove. Gigantesco, imperscrutabile, avvolto da tempeste che disegnano vortici infiniti. La sua grandezza è una presenza che si sente, un ritmo che pulsa come battito cosmico.

Ed è qui, dentro questa mole di energia e meraviglia, che parte “Drops of Jupiter (Tell Me)”. Una canzone che nasce da un sogno e da un dolore profondo: Pat Monahan scrisse questo brano evocativo dopo la morte della madre, ispirato proprio da un’immagine notturna dove la figura materna “tornava nell’atmosfera… con gocce di Giove nei capelli” Il coro diventa un dialogo sospeso tra memoria e stelle: “But tell me, did you sail across the sun? Did you make it to the Milky Way… And did you miss me while you were looking for yourself out there?” frasi che si spalancano nello spazio immenso di Giove, trasformando il pianeta in un teatro di emozioni cosmiche 

Camminare sulle sue atmosfere tempestate con quella melodia è come danzare tra le nubi ultraterrene. “Drops of Jupiter” non è solo musica, ma un viaggio interiore: una voce che chiede, che ricorda, che cerca connessione nell’indifferenza delle orbite planetarie.

Giove, così potente e distante, diventa allora specchio di chi ha attraversato il dolore e ha imparato a guardare il cielo con occhi nuovi. È la manifestazione sonora dell’anelito umano verso l’altro, verso ciò che ci manca ma che continua a vivere dentro di noi, anche tra le stelle.


💍 Saturno – “Ring of Fire” (Johnny Cash)

Quando Saturno appare all’orizzonte, sembra quasi irreale. I suoi anelli si distendono come un nastro infinito, un abbraccio di ghiaccio e polvere che riflette la luce del Sole in mille sfumature. È un pianeta che non si limita a essere osservato: ti cattura, ti ipnotizza, come un incanto che gira lento e inesorabile.

E proprio mentre rimango senza fiato davanti a questa perfezione geometrica, nelle cuffie parte “Ring of Fire” di Johnny Cash. La sua voce calda e profonda risuona come un’eco che vibra nello spazio. Le parole parlano di una fiamma che brucia, di un amore che trascina dentro il suo vortice… e non posso non pensare agli anelli stessi di Saturno, cerchi incandescenti che sembrano cantare il loro eterno movimento.

Ogni accordo sottolinea la rotazione, lenta ma inarrestabile, del pianeta. È un ballo cosmico, un tango silenzioso tra ghiaccio e gravità. Saturno non è violento come Giove, né misterioso come Nettuno: è elegante, magnetico, quasi sensuale.

La musica di Cash si fonde con lo spettacolo davanti ai miei occhi, trasformando Saturno in una pista che non finisce mai, in un “ring” che brucia di passione cosmica. È un pianeta che racconta l’amore nelle sue forme più intense: quello che avvolge, che trascina, che consuma e che, nonostante tutto, continua a girare.

Su Saturno, il “Ring of Fire” non è solo una canzone: è un destino che si compie in eterno.



❄️ Urano – “Ice Ice Baby” (Vanilla Ice)

Urano non assomiglia a nessun altro pianeta. È inclinato, quasi sdraiato su se stesso, come se avesse deciso di non seguire le regole, di ruotare al proprio ritmo. Il suo colore azzurro tenue trasmette calma e distanza, ma anche un senso di mistero glaciale. Guardarlo è come osservare un oceano silenzioso e infinito, senza onde né rumori, solo profondità.

E proprio in quell’istante, nelle cuffie esplode “Ice Ice Baby”. Un beat irriverente, un rap che rompe il silenzio cosmico con leggerezza e autoironia. All’inizio sembra quasi stonare con la solennità di questo mondo ghiacciato… ma dopo pochi secondi diventa chiaro: è la colonna sonora perfetta. Perché Urano non vuole essere preso troppo sul serio, è il pianeta che balla di lato, che gioca con la sua eccentricità.

Mentre guardo i suoi cieli remoti, immagino questo colosso azzurro trasformarsi in una gigantesca pista da ballo cosmica, con i suoi venti gelidi che seguono il ritmo. La musica non scalda il pianeta, ma lo anima: rende vivo il suo gelo, trasformando il silenzio siderale in movimento.

Urano diventa allora il simbolo di chi sceglie la strada diversa, di chi affronta la vita con un sorriso ironico anche nei momenti più freddi. “Ice Ice Baby” non è soltanto un brano divertente: qui, nello spazio, diventa un invito universale a non prendersi mai troppo sul serio, neanche davanti all’infinito.

Su Urano, anche il ghiaccio sa ballare


🌊 Nettuno – “Blue Monday” (New Order)

Nettuno si mostra come un abisso profondo, un pianeta che sembra fatto di mare e notte insieme. Il suo blu non è quello rassicurante del cielo limpido o dell’oceano tranquillo: è un blu che inghiotte, che richiama dentro, un blu che fa pensare alle domande senza risposta. Guardarlo significa confrontarsi con il lato più intimo e misterioso dell’universo.

Nelle cuffie parte “Blue Monday”. I battiti elettronici entrano in perfetta sintonia con i venti potentissimi del pianeta, che sfrecciano a velocità inimmaginabili. Il ritmo ipnotico del brano sembra un respiro costante, come onde invisibili che si frangono e si ricompongono, ancora e ancora. Ogni nota diventa una pulsazione cosmica, un eco che si perde negli abissi blu.

Qui la musica non racconta festa o leggerezza, ma introspezione. È una danza solitaria, un ballo che non ha spettatori se non lo spazio stesso. Nettuno è malinconia, è il senso di smarrimento che però riesce a trasformarsi in bellezza. È come ascoltare i pensieri più nascosti trasformati in melodia.

Con “Blue Monday”, il pianeta diventa una discoteca senza luci né folla, dove a ballare sei solo tu, accompagnato dal battito eterno dell’universo. Su Nettuno la musica non è consolazione: è specchio, è immersione totale nella parte più segreta dell’anima


🖤 Plutone – “Space Oddity” (David Bowie)

Plutone è lontano, quasi dimenticato. Non è più considerato un pianeta “ufficiale”, eppure nel cuore di chi ama il cielo resta un simbolo. È l’ultima frontiera del nostro sistema, un granello di ghiaccio e roccia che custodisce il silenzio più profondo. Qui il buio è totale, e la solitudine sembra avvolgere tutto come un mantello infinito.

Mentre osservo questo mondo remoto, parte “Space Oddity” di David Bowie. La voce di Major Tom si diffonde nelle cuffie, fragile e malinconica, come un messaggio disperso nell’etere. Le parole parlano di distacco, di un astronauta perso nello spazio, lontano da ogni contatto. È la perfetta colonna sonora per questo luogo: un inno alla solitudine cosmica, ma anche alla libertà che si trova nel lasciarsi andare.

Plutone diventa così lo specchio dell’animo umano quando si confronta con l’infinito: piccolo, fragile, ma capace di poesia. La musica trasforma il gelo in emozione, il vuoto in introspezione. Non c’è paura, ma un senso di resa dolce, quasi romantica.

Qui, dove il Sole è solo una stella distante, “Space Oddity” diventa la voce di chi sogna oltre i confini. È la chiusura perfetta del viaggio, un abbraccio sonoro che ci ricorda quanto siamo minuscoli… eppure quanto possiamo essere grandi quando ascoltiamo, quando immaginiamo, quando ci lasciamo guidare dalla musica.

Plutone non è fine, ma soglia. È l’ultimo passo prima del mistero, accompagnato dalla canzone che più di tutte racconta il destino dell’uomo nello spazio: quello di perdersi e ritrovarsi nelle note.




Il nostro viaggio è iniziato davanti al Sole, con la sua luce che brucia e accoglie, per poi proseguire attraverso i pianeti uno dopo l’altro: Mercurio che corre veloce, Venere che avvolge nel suo mistero, la Terra che emoziona con il suo abbraccio familiare, Marte che sussurra domande esistenziali. Abbiamo poi attraversato i giganti gassosi e ghiacciati: Giove con la sua immensità che si intreccia ai ricordi, Saturno che danza negli anelli fiammeggianti, Urano che gioca con la sua eccentricità, Nettuno che vibra di malinconia elettronica. E infine Plutone, ultimo confine, custode silenzioso di un cosmo che non smette mai di farci sognare.

Ogni tappa è stata una canzone, ogni pianeta una diversa emozione. La musica ha trasformato i corpi celesti in esperienze intime, in riflessi della nostra anima. Perché lo spazio non è solo lontananza e mistero: è anche specchio dei nostri desideri, delle nostre paure, delle nostre nostalgie.

Con le cuffie nelle orecchie, ci siamo accorti che l’universo non è muto: pulsa, risuona, canta. Ci racconta storie d’amore, di perdita, di solitudine e di bellezza. È un’orchestra infinita, e noi siamo parte di questa sinfonia cosmica.

Alla fine, non importa quanto lontano andremo nello spazio: porteremo sempre con noi la musica, unica bussola capace di guidarci tra le stelle e dentro noi stessi. 🌌🎶

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