🕯️ “Camminando nelle Tenebre: Ritratto definitivo di Ozzy Osbourne”
C’è chi nasce per brillare, chi per fare rumore. E poi c’è Ozzy Osbourne: colui che ha fatto entrambe le cose, camminando sempre sul filo sottile tra il genio e la follia. Un’icona che non ha mai cercato di piacere a tutti, ma che ha finito per farsi amare anche da chi non lo capiva. Con la voce rauca come il metallo che ha forgiato, lo sguardo perduto e allo stesso tempo feroce, Ozzy ha attraversato oltre cinque decenni di musica, scandali, tragedie e rinascite, restando sempre sé stesso: il Principe delle Tenebre.
Dagli albori nel sobborgo industriale di Birmingham agli eccessi lisergici dei Black Sabbath, dalle cadute rovinose ai trionfi solisti, fino al reality show che lo ha trasformato in improbabile (e tenero) papà televisivo, la storia di Ozzy Osbourne è molto più di una cronaca rock: è un’epopea umana. Un viaggio fatto di note distorte, pipistrelli morsicati, dischi leggendari e una resilienza che sfida le leggi della natura.
Amato, odiato, imitato, frainteso. Ozzy non è solo un frontman: è un simbolo.
🌱 Le origini (1948 – fine anni ’60)
John Michael Osbourne nasce il 3 dicembre 1948 a Birmingham, in Inghilterra, nel quartiere operaio di Aston. È il quarto di sei figli in una famiglia modesta: il padre, Jack, lavora in una fabbrica di attrezzature meccaniche; la madre, Lillian, è impiegata in una catena di abbigliamento. La casa è piccola, il bagno è in comune con altre famiglie, e la vita è dura. È l’Inghilterra del dopoguerra, grigia e industriale, e Ozzy cresce circondato da mattoni rossi, fumo di fabbriche e pub affollati. La musica, però, gli apre uno spiraglio di luce.
Ozzy è un bambino sensibile, dislessico, spesso deriso a scuola. Soffre anche di difficoltà di apprendimento e bullismo. Ma quando sente per la prima volta “She Loves You” dei Beatles, tutto cambia. È la folgorazione: non vuole più una vita normale, vuole cantare. Abbandona la scuola a 15 anni e si barcamena tra lavori saltuari muratore, macellaio, idraulico senza trovare una vera direzione. L’unica costante è il sogno di diventare qualcuno.Ma la giovinezza di Ozzy è tutt’altro che semplice: si avvicina alla criminalità di strada, partecipa a piccoli furti e, dopo essere stato arrestato per aver rubato un televisore e alcune attrezzature audio, finisce per qualche settimana in prigione, poiché non può pagarsi la cauzione. Un’esperienza che, a detta sua, lo segna profondamente. È proprio in questo periodo che si fa tatuare “OZZY” sulle nocche, un marchio che diventerà parte integrante della sua identità.
Rientrato in libertà, decide di tentare davvero la strada della musica. Inizia a cantare in alcune band locali e nel 1968 risponde a un annuncio su un giornale: “Cercasi cantante con impianto vocale proprio”. A pubblicarlo sono Tony Iommi, Geezer Butler e Bill Ward, con cui forma una band chiamata Earth. Iommi lo conosce già dai tempi della scuola e, nonostante i dubbi iniziali, accetta Ozzy come frontman.
Il gruppo suona blues e rock psichedelico, ma la svolta arriva quasi per caso. Un giorno scoprono che esiste già un’altra band con lo stesso nome, Earth. Ispirati dal titolo di un film horror con Boris Karloff, decidono di ribattezzarsi Black Sabbath. Ed è qui che inizia davvero la leggenda.
Nel passaggio da Earth a Black Sabbath c’è tutto il cambio di pelle di Ozzy: da giovane spaesato di periferia a profeta delle tenebre. Il suono si fa più cupo, le liriche più inquietanti, e la voce di Ozzy lamentosa, distorta, quasi sovrannaturale
si fonde perfettamente con le atmosfere create da Iommi. Birmingham, da città industriale, diventa la fucina di un nuovo genere: l’heavy metal.
Ozzy è pronto a salire sul trono del rock più oscuro. E il mondo è pronto a tremare.
Rientrato in libertà, decide di tentare davvero la strada della musica. Inizia a cantare in alcune band locali e nel 1968 risponde a un annuncio su un giornale: “Cercasi cantante con impianto vocale proprio”. A pubblicarlo sono Tony Iommi, Geezer Butler e Bill Ward, con cui forma una band chiamata Earth. Iommi lo conosce già dai tempi della scuola e, nonostante i dubbi iniziali, accetta Ozzy come frontman.
Il gruppo suona blues e rock psichedelico, ma la svolta arriva quasi per caso. Un giorno scoprono che esiste già un’altra band con lo stesso nome, Earth. Ispirati dal titolo di un film horror con Boris Karloff, decidono di ribattezzarsi Black Sabbath. Ed è qui che inizia davvero la leggenda.
Nel passaggio da Earth a Black Sabbath c’è tutto il cambio di pelle di Ozzy: da giovane spaesato di periferia a profeta delle tenebre. Il suono si fa più cupo, le liriche più inquietanti, e la voce di Ozzy lamentosa, distorta, quasi sovrannaturale
si fonde perfettamente con le atmosfere create da Iommi. Birmingham, da città industriale, diventa la fucina di un nuovo genere: l’heavy metal.
Ozzy è pronto a salire sul trono del rock più oscuro. E il mondo è pronto a tremare.
⚡ La nascita dei Black Sabbath (1968–1979)
Quattro ragazzi di Birmingham. Una voglia disperata di distinguersi. Un suono che nessuno aveva mai osato prima. Così nascono i Black Sabbath, la band destinata a cambiare per sempre la storia della musica rock. Con Ozzy Osbourne alla voce, Tony Iommi alla chitarra, Geezer Butler al basso e Bill Ward alla batteria, il gruppo inizia a esibirsi nei pub e nei locali underground, ma qualcosa nei loro concerti è diverso: c’è un’atmosfera minacciosa, quasi maledetta, che non si era mai sentita prima.
Nel 1970 esce il loro primo album, “Black Sabbath”, pubblicato il 13 febbraio ironicamente, un venerdì 13. Il suono è pesante, rallentato, claustrofobico. Le campane funebri, i riff distorti, i testi che parlano di stregoneria, paranoia e condanna: tutto contribuisce a creare un’esperienza nuova, che terrorizza e affascina al tempo stesso. La critica lo stronca, ma i fan lo adorano. È la nascita dell’heavy metal.
Appena sette mesi dopo, i Sabbath pubblicano il secondo album, “Paranoid”, che li proietta nell’olimpo. È qui che arrivano i primi grandi classici:
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“War Pigs”, feroce denuncia contro la guerra e i poteri forti;
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“Iron Man”, con quel riff leggendario che sembra l’incedere di un mostro meccanico;
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e naturalmente “Paranoid”, registrata all’ultimo minuto come “riempitivo”, che diventerà invece il loro primo vero inno generazionale.
Da lì in poi è un crescendo:
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“Master of Reality” (1971) definisce il doom metal con pezzi come “Sweet Leaf” e “Children of the Grave”;
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“Vol. 4” (1972) sperimenta con psichedelia e melodia;
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“Sabbath Bloody Sabbath” (1973) mostra un lato più raffinato e teatrale.
Nel frattempo, la figura di Ozzy si solidifica: con la sua voce stridula e possente, diventa l’anima tormentata del gruppo. Non è un cantante tecnico, ma ha un’energia magnetica. Sul palco si muove come posseduto, spesso sotto effetto di droghe o alcol, con sguardo spiritato e movenze animalesche. Il pubblico lo ama, la stampa lo teme, le leggende si moltiplicano.
Ma proprio mentre la band cresce artisticamente, i demoni personali cominciano a farsi sentire. L’abuso di sostanze, le tensioni interne e i dissidi con la casa discografica iniziano a logorare il gruppo. Ozzy diventa sempre più imprevedibile, spesso assente dalle prove, immerso in un vortice autodistruttivo. Dopo l’album “Never Say Die!” (1978), freddamente accolto da critica e pubblico, la rottura è inevitabile.
Nel 1979, dopo dieci anni vissuti sul filo del caos e della gloria, Ozzy viene licenziato dai Black Sabbath.
È la fine di un’era. Ma non della leggenda.
🔥 La rinascita solista (1980–1991)
“War Pigs”, feroce denuncia contro la guerra e i poteri forti;
“Iron Man”, con quel riff leggendario che sembra l’incedere di un mostro meccanico;
e naturalmente “Paranoid”, registrata all’ultimo minuto come “riempitivo”, che diventerà invece il loro primo vero inno generazionale.
“Master of Reality” (1971) definisce il doom metal con pezzi come “Sweet Leaf” e “Children of the Grave”;
“Vol. 4” (1972) sperimenta con psichedelia e melodia;
“Sabbath Bloody Sabbath” (1973) mostra un lato più raffinato e teatrale.
Quando Ozzy Osbourne viene cacciato dai Black Sabbath nel 1979, sembra davvero arrivata la fine. Perso in un labirinto di alcol, droghe e depressione, si rinchiude in una stanza d’albergo per settimane, convinto che la sua carriera sia finita per sempre. È a quel punto che entra in scena Sharon Arden, figlia del suo ex manager, e presto sua compagna di vita. Sharon non solo lo sprona a rimettersi in piedi, ma crede in lui in un momento in cui nemmeno Ozzy riesce a farlo. Sarà lei a costruire le fondamenta della sua rinascita.
Ozzy non ha più una band, ma ha ancora qualcosa da dire. E tutto cambia quando incontra un giovane chitarrista californiano: Randy Rhoads. Con il suo stile tecnico, melodico e iper-moderno, Randy porta una ventata di freschezza nel suono di Ozzy. I due si trovano subito, come se suonassero insieme da sempre. Da questo incontro nasce, nel 1980, “Blizzard of Ozz”, un disco che sorprende tutti: potente, innovativo, ispirato. Dentro ci sono brani che diventeranno immediatamente dei classici.
“Crazy Train” apre con un riff da brividi e un urlo che è quasi una rinascita, un manifesto di sopravvivenza. “Mr. Crowley” trasporta l’ascoltatore in un mondo oscuro e teatrale. E poi c’è “Suicide Solution”, che farà discutere per anni a causa delle accuse infondate di incitare al suicidio.
È il 20 gennaio 1982, a Des Moines, Iowa. Il palco è in fiamme, il pubblico in delirio. Qualcuno tra la folla lancia un pipistrello – vero, probabilmente già morto – sul palco. Ozzy, convinto che sia un pupazzo di scena, lo raccoglie e lo morde davanti a tutti.
“Appena ho chiuso le fauci ho capito che era vivo – o lo era stato fino a un attimo prima”, racconterà in seguito.
Viene portato immediatamente in ospedale per una serie di iniezioni contro la rabbia. La notizia fa il giro del mondo. Per alcuni è un gesto folle, da internare. Per altri, la prova definitiva che Ozzy è qualcosa di più di un cantante: è un’icona vivente del rock più estremo, teatrale, imprevedibile.
Da quel giorno, l’immagine di Ozzy che morde un pipistrello diventa leggenda, simbolo di una carriera senza freni, dove spettacolo, provocazione e follia convivono senza filtri.Il successo è enorme. Ozzy non è solo tornato: è rinato.
L’anno dopo arriva “Diary of a Madman”, ancora più curato, più profondo, forse il suo miglior lavoro solista. Ma proprio mentre tutto sembra andare per il meglio, la tragedia colpisce: Randy Rhoads muore nel marzo del 1982, in un incidente aereo assurdo e improvviso, durante una pausa del tour. Ozzy è lì, vede tutto. È un colpo devastante, personale e artistico. Non supererà mai del tutto quella perdita.
Eppure, anche stavolta, non si arrende. Cambia più volte formazione – tra i chitarristi ci saranno nomi importanti come Jake E. Lee e, più avanti, Zakk Wylde, giovanissimo talento dal suono ruvido e potente. Con loro pubblica dischi che continuano a macinare successi e concerti sold out.
Nel 1983 arriva “Bark at the Moon”, con la celebre copertina in cui Ozzy appare truccato da lupo mannaro: è già un’icona visiva oltre che musicale.
Nel 1986 pubblica “The Ultimate Sin”, con suoni più accessibili, quasi pop-metal, ma sempre riconoscibili.
Nel 1988 esce “No Rest for the Wicked”, che segna il debutto di Zakk Wylde e un ritorno a suoni più duri.
Poi, nel 1991, a chiudere il decennio, arriva “No More Tears”: un album maturo, denso di emozioni. Brani come “
Mama, I’m Coming Home”, dedicato a Sharon, e la title track “No More Tears”, con i suoi sei minuti di dramma e potenza, mostrano un Ozzy più consapevole, riflessivo, ma ancora carico di energia. La voce è sempre la sua: dolente, ruvida, unica.
Viene portato immediatamente in ospedale per una serie di iniezioni contro la rabbia. La notizia fa il giro del mondo. Per alcuni è un gesto folle, da internare. Per altri, la prova definitiva che Ozzy è qualcosa di più di un cantante: è un’icona vivente del rock più estremo, teatrale, imprevedibile.
Mama, I’m Coming Home”, dedicato a Sharon, e la title track “No More Tears”, con i suoi sei minuti di dramma e potenza, mostrano un Ozzy più consapevole, riflessivo, ma ancora carico di energia. La voce è sempre la sua: dolente, ruvida, unica.
📺 Il personaggio pubblico e la OzzyMania (anni ’90–2000)
Negli anni ’90 Ozzy Osbourne smette di essere “solo” un musicista: diventa un personaggio. E lo fa senza cercarlo. Il suo volto, la sua voce, il suo modo di parlare – mezzo rantolo mezzo battuta – iniziano a diventare riconoscibili anche fuori dal mondo del rock. In un’epoca in cui l’industria musicale cambia pelle e MTV detta le regole del gioco, Ozzy riesce a rimanere rilevante, pur senza rincorrere le mode. Anzi, è proprio restando fedele a sé stesso che diventa una figura cult.
Nel 1996, insieme a Sharon, lancia l’Ozzfest, un festival itinerante dedicato alla musica metal e alternativa. È una mossa geniale: mentre i grandi festival ignorano il metal, Ozzy gli crea una casa. Sul palco salgono band emergenti e pesi massimi: Slipknot, Korn, System of a Down, Tool, Marilyn Manson. L’Ozzfest diventa in poco tempo la Mecca dell’heavy metal moderno, con decine di date, folle oceaniche e una nuova generazione di fan che scopre Ozzy… per la prima volta.
Ma il vero colpo di scena arriva nel 2002, quando Ozzy e la sua famiglia Sharon, e i figli Jack e Kelly – accettano di partecipare a un reality show su MTV:
“The Osbournes”. L’idea è semplice e rivoluzionaria: mostrare la vita quotidiana di una famiglia di rockstar, senza filtri. Nessuno immagina che quello show diventerà un fenomeno culturale mondiale.
E così il mondo scopre l’altro volto di Ozzy. Non più (solo) il Principe delle Tenebre, ma un padre un po’ sbadato, sempre in accappatoio, che impreca contro i telecomandi, parla con i cani e si perde nei corridoi di casa. Una figura tenera, comica, profondamente umana. La sua goffaggine, la dolcezza con cui si rivolge a Sharon, le sue frasi sconclusionate diventano virali ancor prima che esistano i social.
The Osbournes infrange record di ascolti, vince un Emmy Award e trasforma l’intera famiglia in celebrità. Kelly pubblica un disco, Jack diventa volto noto, Sharon conduce talk show: è nata una vera e propria “OzzyMania” globale, in cui l’uomo dietro il mito diventa più popolare del mito stesso.
In quegli anni, Ozzy riesce in qualcosa di rarissimo: diventare mainstream senza perdere l’anima underground. Il pubblico che lo seguiva dagli anni ’70 ora lo vede sotto una nuova luce. E chi non sapeva nulla di “Iron Man” o “Mr. Crowley”, lo conosce come il buffo e irresistibile “dad of darkness”.
Nel frattempo, continua a fare musica. Nel 1995 esce “Ozzmosis”, cupo e introspettivo, con brani come “Perry Mason” e “See You on the Other Side”. Nel 2001 pubblica “Down to Earth”, con il singolo
“Dreamer”, una sorta di sua “Imagine” personale, in cui mostra un lato più riflessivo e pacifista. Anche sul palco, Ozzy è ancora una forza della natura: tra paillette e secchiate d’acqua sul pubblico, i suoi concerti restano tra i più esplosivi e imprevedibili in circolazione.
Alla soglia del nuovo millennio, Ozzy Osbourne è più vivo che mai. Ha superato ogni previsione, ogni cliché. È passato dall’essere un simbolo di ribellione a una sorta di nonno del metal, ancora capace di scuotere le masse ma con un’ironia e una dolcezza inattese.
È chiaro ormai che Ozzy non è solo un artista. È un’icona pop universale, un personaggio che va oltre il rock, che unisce generazioni, che resiste ai tempi. E che, paradossalmente, non è mai stato così amato come in questi anni di apparente “normalità”.
Negli anni ’90 Ozzy Osbourne smette di essere “solo” un musicista: diventa un personaggio. E lo fa senza cercarlo. Il suo volto, la sua voce, il suo modo di parlare – mezzo rantolo mezzo battuta – iniziano a diventare riconoscibili anche fuori dal mondo del rock. In un’epoca in cui l’industria musicale cambia pelle e MTV detta le regole del gioco, Ozzy riesce a rimanere rilevante, pur senza rincorrere le mode. Anzi, è proprio restando fedele a sé stesso che diventa una figura cult.
Nel 1996, insieme a Sharon, lancia l’Ozzfest, un festival itinerante dedicato alla musica metal e alternativa. È una mossa geniale: mentre i grandi festival ignorano il metal, Ozzy gli crea una casa. Sul palco salgono band emergenti e pesi massimi: Slipknot, Korn, System of a Down, Tool, Marilyn Manson. L’Ozzfest diventa in poco tempo la Mecca dell’heavy metal moderno, con decine di date, folle oceaniche e una nuova generazione di fan che scopre Ozzy… per la prima volta.
Ma il vero colpo di scena arriva nel 2002, quando Ozzy e la sua famiglia Sharon, e i figli Jack e Kelly – accettano di partecipare a un reality show su MTV:“The Osbournes”. L’idea è semplice e rivoluzionaria: mostrare la vita quotidiana di una famiglia di rockstar, senza filtri. Nessuno immagina che quello show diventerà un fenomeno culturale mondiale.
E così il mondo scopre l’altro volto di Ozzy. Non più (solo) il Principe delle Tenebre, ma un padre un po’ sbadato, sempre in accappatoio, che impreca contro i telecomandi, parla con i cani e si perde nei corridoi di casa. Una figura tenera, comica, profondamente umana. La sua goffaggine, la dolcezza con cui si rivolge a Sharon, le sue frasi sconclusionate diventano virali ancor prima che esistano i social.
The Osbournes infrange record di ascolti, vince un Emmy Award e trasforma l’intera famiglia in celebrità. Kelly pubblica un disco, Jack diventa volto noto, Sharon conduce talk show: è nata una vera e propria “OzzyMania” globale, in cui l’uomo dietro il mito diventa più popolare del mito stesso.
In quegli anni, Ozzy riesce in qualcosa di rarissimo: diventare mainstream senza perdere l’anima underground. Il pubblico che lo seguiva dagli anni ’70 ora lo vede sotto una nuova luce. E chi non sapeva nulla di “Iron Man” o “Mr. Crowley”, lo conosce come il buffo e irresistibile “dad of darkness”.
Nel frattempo, continua a fare musica. Nel 1995 esce “Ozzmosis”, cupo e introspettivo, con brani come “Perry Mason” e “See You on the Other Side”. Nel 2001 pubblica “Down to Earth”, con il singolo
“Dreamer”, una sorta di sua “Imagine” personale, in cui mostra un lato più riflessivo e pacifista. Anche sul palco, Ozzy è ancora una forza della natura: tra paillette e secchiate d’acqua sul pubblico, i suoi concerti restano tra i più esplosivi e imprevedibili in circolazione.
Alla soglia del nuovo millennio, Ozzy Osbourne è più vivo che mai. Ha superato ogni previsione, ogni cliché. È passato dall’essere un simbolo di ribellione a una sorta di nonno del metal, ancora capace di scuotere le masse ma con un’ironia e una dolcezza inattese.
🕯️ L’ultimo atto: addio al palco e saluto finale (2000–2025)
Gli anni Duemila non sono stati clementi con Ozzy Osbourne. Dopo una carriera costruita sull’eccesso e sulla resistenza oltre ogni limite, il corpo comincia a chiedere il conto. Le diagnosi si accumulano: incidenti, complicazioni alla colonna vertebrale, e infine il morbo di Parkinson, rivelato pubblicamente nel 2020. Ma chi pensava che Ozzy si sarebbe arreso, evidentemente non conosceva la sua tempra.
Anche se costretto ad annullare tournée e ritirarsi dalle scene, Ozzy non smette di sognare un ultimo grande saluto. E così, nel 2025, a 76 anni, annuncia un evento simbolico: il concerto d’addio, nella sua città natale. Il titolo è già tutto un programma: “Back to the Beginning”, un ritorno alle origini. La data è il 5 luglio 2025, il luogo è Villa Park a Birmingham, e l’energia che si respira è quella di un evento irripetibile.
Ozzy si presenta sul palco seduto su un trono, le mani tremanti ma lo sguardo acceso. Accanto a lui, per la prima volta dopo decenni, ci sono Tony Iommi, Geezer Butler e Bill Ward: la formazione originale dei Black Sabbath riunita per chiudere il cerchio. Quel palco, davanti a oltre 40.000 persone, diventa il tempio definitivo del metal. Il pubblico canta ogni parola di “War Pigs”, “Iron Man”, “Paranoid”. E quando parte “Mama, I’m Coming Home”, Ozzy si commuove. Tutti si commuovono. È un addio, sì, ma anche una festa.
Sul palco, insieme a lui, una vera parata di stelle: Metallica, Tool, Guns N’ Roses, Slayer. Un cast da sogno, guidato dalla direzione musicale di Tom Morello. Ma quel trono, al centro della scena, appartiene solo a lui. Nessuno glielo tocca. La serata ha anche un cuore benefico: oltre 140 milioni di sterline vengono raccolti e donati a tre enti a cui Ozzy teneva molto: Cure Parkinson’s, Birmingham Children’s Hospital e Acorn Children’s Hospice. Un ultimo gesto d’amore verso la sua gente, verso la sua città. Poi, il silenzio. Diciassette giorni dopo quell’ultima apparizione, Ozzy Osbourne muore il 22 luglio 2025, nella sua casa in Inghilterra, circondato dalla famiglia. La notizia scuote il mondo intero. La musica perde uno dei suoi simboli più puri e contraddittori. Elton John, Jack White, i Metallica, i Pearl Jam: tutti rendono omaggio al Principe delle Tenebre, l’uomo che ha fatto del caos un’arte e della fragilità una forza.
Il tributo prosegue ovunque: dai palchi alle radio, dai social ai festival. Johnny Depp gli dedica un assolo durante il tour con Alice Cooper. Liam Gallagher apre un concerto degli Oasis con “Changes”. E Sharon, la donna che gli è sempre stata accanto, chiede una sola cosa: “Ricordatelo per quello che era. Un sopravvissuto. Un artista. Un’anima libera”.
Ozzy Osbourne non c’è più. Ma il suo mito è intatto. E nelle sue canzoni, nei riff che scuotono ancora le casse dei ragazzi di oggi, la sua voce continua a urlare al mondo: “I am Iron Man”.
E nessuno oserà mai contraddirlo.
“I’m going off the rails on a crazy train...”
…e quel treno, rumoroso, sgangherato, geniale e fuori controllo, non si fermerà mai davvero.
Perché Ozzy Osbourne non è stato solo un uomo: è stato un grido, un'ombra luminosa, una leggenda che ha insegnato al mondo a ballare nel buio senza paura.
✝ Long live the Prince of Darkness.
Gli anni Duemila non sono stati clementi con Ozzy Osbourne. Dopo una carriera costruita sull’eccesso e sulla resistenza oltre ogni limite, il corpo comincia a chiedere il conto. Le diagnosi si accumulano: incidenti, complicazioni alla colonna vertebrale, e infine il morbo di Parkinson, rivelato pubblicamente nel 2020. Ma chi pensava che Ozzy si sarebbe arreso, evidentemente non conosceva la sua tempra.
Anche se costretto ad annullare tournée e ritirarsi dalle scene, Ozzy non smette di sognare un ultimo grande saluto. E così, nel 2025, a 76 anni, annuncia un evento simbolico: il concerto d’addio, nella sua città natale. Il titolo è già tutto un programma: “Back to the Beginning”, un ritorno alle origini. La data è il 5 luglio 2025, il luogo è Villa Park a Birmingham, e l’energia che si respira è quella di un evento irripetibile.
Ozzy si presenta sul palco seduto su un trono, le mani tremanti ma lo sguardo acceso. Accanto a lui, per la prima volta dopo decenni, ci sono Tony Iommi, Geezer Butler e Bill Ward: la formazione originale dei Black Sabbath riunita per chiudere il cerchio. Quel palco, davanti a oltre 40.000 persone, diventa il tempio definitivo del metal. Il pubblico canta ogni parola di “War Pigs”, “Iron Man”, “Paranoid”. E quando parte “Mama, I’m Coming Home”, Ozzy si commuove. Tutti si commuovono. È un addio, sì, ma anche una festa.
Il tributo prosegue ovunque: dai palchi alle radio, dai social ai festival. Johnny Depp gli dedica un assolo durante il tour con Alice Cooper. Liam Gallagher apre un concerto degli Oasis con “Changes”. E Sharon, la donna che gli è sempre stata accanto, chiede una sola cosa: “Ricordatelo per quello che era. Un sopravvissuto. Un artista. Un’anima libera”.
Ozzy Osbourne non c’è più. Ma il suo mito è intatto. E nelle sue canzoni, nei riff che scuotono ancora le casse dei ragazzi di oggi, la sua voce continua a urlare al mondo: “I am Iron Man”.
E nessuno oserà mai contraddirlo.
“I’m going off the rails on a crazy train...”
…e quel treno, rumoroso, sgangherato, geniale e fuori controllo, non si fermerà mai davvero.
Perché Ozzy Osbourne non è stato solo un uomo: è stato un grido, un'ombra luminosa, una leggenda che ha insegnato al mondo a ballare nel buio senza paura.
✝ Long live the Prince of Darkness.
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