“La playlist del disonore: il meglio del trash internazionale” (Perché il trash non ha passaporto)
Pensavate che il trash musicale fosse un’esclusiva tutta italiana, vero? Dopo aver riesumato tormentoni nostrani con coreografie da villaggio turistico e testi degni di una chat su MSN, oggi allarghiamo gli orizzonti. Sì, perché il trash non ha confini geografici: è una corrente globale, una forza misteriosa che attraversa oceani, culture e playlist dimenticate.
Dall’America ai Tropici, passando per l’Estremo Oriente e le spiagge surf degli anni ’60, la musica ci ha regalato perle di nonsense assoluto. Brani talmente strani, pacchiani, fuori di testa… che è impossibile non amarli.
Parliamo di voci da cartone animato, animali che cantano, frasi senza senso urlate con entusiasmo e balli improbabili replicati ovunque, dai matrimoni ai karaoke più molesti.
E la cosa più bella? Queste hit hanno scalato le classifiche, conquistato le radio, fatto ballare milioni di persone. Perché il trash, quando è sincero e inconsapevole, è come una bibita frizzante con troppo zucchero: ti fa male… ma non riesci a smettere di berla.
Quindi mettete da parte il buon gusto per qualche minuto, aprite Spotify senza vergogna e immergetevi con noi nei 5 brani internazionali più trash della storia recente. Alcuni li conoscete, altri li avevate rimossi con la forza della terapia, ma una cosa è certa: una volta risentiti, non potrete più tornare indietro.
🎀 Aqua – Barbie Girl (1997)
“Hi Barbie!” – “Hi Ken!” – “Vuoi fare un giro?”
Ed è subito trash.
Nel 1997 il mondo era pronto a tutto: i Tamagotchi, le Spice Girls, la moda fluo… ma non era pronto a Barbie Girl. Un inno alla plastica, al finto romanticismo e alle vocine da cartone animato che sembrano uscite da un incubo technicolor.
Gli Aqua, band danese-norvegese con la stessa sobrietà di una vetrina natalizia a Las Vegas, ci hanno regalato una delle canzoni più involontariamente esilaranti di sempre. Il testo? Un delirio gender pre-social: lui la tratta come un oggetto, lei risponde con una scrollata di spalle rosa shocking. La melodia è talmente appiccicosa che ti ritrovi a canticchiarla anche mentre cerchi di ricordare il tuo codice PIN.
Il videoclip è un trip lisergico: Ken con lo sguardo perso, Barbie che balla tra trucchetti di scena e una scenografia degna di un negozio di giocattoli sotto acido.
Ciliegina sulla torta? Mattel denunciò gli Aqua per uso improprio dell’immagine di Barbie… e perse. Perché in fondo, Barbie è una party girl in un mondo di plastica. E noi, poveri ascoltatori, siamo saliti a bordo di quella decappottabile rosa senza mai più scendere.
Baha Men – Who Let the Dogs Out (1998)
“Who let the dogs out?”
Una domanda che sembra uscita da una riunione condominiale andata male e che invece è diventata uno dei ritornelli più iconici, assillanti e inspiegabilmente famosi della storia della musica pop.
I Baha Men, gruppo originario delle Bahamas, nel 1998 decisero di prendere una canzone semi-sconosciuta scritta da un DJ trinidadiano, infilarci dentro bark, woof e ululati vari, aggiungere un beat da spiaggia caraibica e... boom. Un’onda trash travolse il mondo.
Non importa chi tu sia: se eri vivo nei primi anni 2000, hai sicuramente sentito questo brano. In uno stadio. In una festa di compleanno. In uno spot. In un incubo notturno. Era ovunque.
E il bello? Nessuno ha mai capito veramente cosa volesse dire. Alcuni dicono che parli di uomini molesti in discoteca, altri pensano sia solo un inno alla demenza estiva. Ma la verità è che il senso non importa. Perché l’importante è abbaiarlo, quel ritornello. A squarciagola. Senza freni.
Il videoclip è un'esplosione di energia da sabato pomeriggio in TV: magliette a rete, occhiali da sole improbabili, uomini che ballano con cani veri, cani disegnati, cani che fanno cose strane. Il tutto condito da sorrisi entusiasti e una coreografia da far invidia ai villaggi turistici.
Ma attenzione: "Who Let the Dogs Out" non è solo una canzone. È uno stato mentale. È la dimostrazione che con quattro parole, una base reggaeton-pop e un sacco di entusiasmo, puoi conquistare il pianeta.
È il trash che si prende così tanto sul serio da diventare... quasi arte. O forse no. Ma chi se ne importa: WOOF WOOF WOOF WOOF!
🐸 Crazy Frog – Axel F (2005)
Se esiste un punto di non ritorno nel pop trash, probabilmente è segnato da una rana nuda con l’elmetto, che fa “ding ding” imitando un motorino.
Sì, stiamo parlando di Crazy Frog e della sua devastante, iperattiva, assurdamente fastidiosa versione di Axel F, il mitico tema strumentale di Beverly Hills Cop.
Tutto nasce per caso. Un suono creato da un ragazzo svedese per imitare la partenza di uno scooter viene trasformato in un tormentone da suoneria per cellulari (quando i cellulari suonavano male per contratto), poi diventa un’animazione 3D disturbante e infine… una hit mondiale.
Un incubo virale prima ancora che esistessero TikTok e i reel.
Nel 2005, "Axel F" versione Crazy Frog scala le classifiche in tutta Europa. Bambini esaltati, genitori disperati, DJ confusi. Era ovunque. Come l’umidità a luglio.
Il videoclip è un trip psichedelico in CGI con qualità da PlayStation 2: la rana guida veicoli volanti, viene inseguita da poliziotti, ride istericamente e balla in mutande. Sì, mutande. Perché qualcuno ha pensato che fosse essenziale animare anche le sue parti basse, creando momenti imbarazzanti in ogni salotto dove passava MTV.
Eppure… ci piaceva. Lo canticchiavamo. Lo mandavamo agli amici. E quando partiva il ding-ding-ding-ding-ding-ding-ding tutti ridevano.
Era il trash nella sua forma più pura:
senza senso, ma completamente magnetico. Una hit nata da un errore, che ha trovato la gloria.
Come un meme musicale ante-litteram, Crazy Frog ci ha insegnato che la musica può essere tutto. Anche solo un suono molesto ripetuto per due minuti e mezzo.
🐦 The Trashmen – Surfin’ Bird (1964)
Prima che le rane cantassero techno e le Barbie fluttuassero nei videoclip, c’era Surfin’ Bird.
Siamo nel 1964, in piena epoca surf rock, e un gruppo chiamato The Trashmen (il nome era già tutto un programma) decide di lanciare nel mondo una canzone senza senso, costruita su due frasi e un’energia da pazzo scatenato.
Il risultato? Un gabbiano iperattivo con la voce roca che urla “Papa-oom-mow-mow” e “The bird is the word!” fino allo sfinimento.
Ma attenzione: questo non è solo un tormentone, è un’esperienza mistica. Il cantante sembra in trance, il ritmo è frenetico, la chitarra surf grattugia le orecchie e il tutto suona come se qualcuno avesse messo Chuck Berry su una lavatrice impazzita. Nessuna melodia vera, nessuna struttura classica: solo un’esplosione di urla, batteria martellante e puro nonsense.
E, contro ogni logica umana, ha funzionato.
La canzone è diventata virale prima che virale fosse un termine da social media. Ha venduto milioni di copie, è stata suonata ovunque e ha ispirato artisti, cartoni animati e persino scene cult del cinema (chi se la dimentica in Full Metal Jacket?). Ma soprattutto, è stata riportata alla ribalta da Peter Griffin in Family Guy, che ha trasformato “Bird is the word!” in una gag infinita e leggendaria.
Il bello è che ancora oggi, quando parte, "Surfin’ Bird" ha lo stesso effetto di una scarica elettrica: ti fa ridere, ti confonde e ti obbliga a muoverti anche se il tuo cervello implora pietà.
È il trash vintage per eccellenza: una follia senza filtro, un mantra dadaista in salsa rock ‘n’ roll.
🕺 PSY – Gangnam Style (2012)
Nel 2012 il mondo si è fermato. Non per un’eclissi o per la fine del calendario Maya. No.
Si è fermato per ballare come se si stesse cavalcando un pony invisibile, con un uomo coreano vestito da showman da luna park: PSY.
Gangnam Style è la vetta massima del trash globale consapevole. È il momento in cui la musica pop ha guardato se stessa allo specchio, ha riso fortissimo… e si è messa a ballare.
Il brano, con il suo beat martellante e irresistibile, ci ha regalato uno dei ritornelli più incomprensibili ma coinvolgenti del secolo. Nessuno sapeva cosa significasse “Oppa Gangnam Style”, ma tutti lo cantavano.
E poi c’era lui: il balletto.
Iconico, ridicolo, geniale. Una coreografia a metà tra l’equitazione acrobatica e la ginnastica da matrimonio. L’abbiamo vista ovunque: scuole, flash mob, pubblicità, persino in versioni con Obama e Ban Ki-moon.
Per mesi è stato impossibile accendere YouTube senza trovarsi davanti quel video psichedelico, fatto di ascensori, saune, esplosioni, parchi giochi e situazioni totalmente prive di logica. Eppure, proprio per questo, perfettamente perfette.
PSY ha portato all’estremo l’autoironia, prendendo in giro l’élite benestante del quartiere di Gangnam a Seul, ma lo ha fatto ballando sopra stereotipi e limiti culturali, unendo il mondo con una risata e un colpo di bacino.
E così, Gangnam Style è diventata la prima canzone a superare un miliardo di visualizzazioni su YouTube, un traguardo storico per un brano che, sulla carta, doveva restare confinato a qualche serata universitaria troppo alcolica.
E invece… è diventata un inno universale al nonsense danzante. Il finale perfetto per questa trash parade planetaria.
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